Semplificando all’osso, direi che il Personal Brand è una questione di autoconsapevolezza. Qualcuno ha un garbo, una grazia innati, e volteggiano leggiadri come ballerine sullo scivoloso terreno della comunicazione di sé. Mi viene il sospetto che siano ignari di tutto, che facciano senza sforzo sempre la cosa migliore, aiutati da una natura particolarmente generosa nei loro confronti. Diciamo però che queste sono felici eccezioni, che non fanno media. Per tutti gli altri, la cruda realtà è che serve un lavoro da fanteria, un lavoro sporco di quelli che stanno nel fango e arrancano, uno sforzo costante che richiede allenamento, osservazione e un sofferto ma costante progresso nell’autoconsapevolezza.
il Personal Brand è una questione di autoconsapevolezza
D’altra parte, nel momento in cui scrivo e pubblico mi espongo al giudizio altrui e devo fare del mio meglio per governarne gli esiti. Penso non serva esplicitare il fatto che “devono accettarti per come sei” sia una bufala ben smascherata da tempo; come anche “non si può piacere a tutti” non sia un alibi di grande successo, per non parlare del “fake it until you make it”, la madre di molti, se non tutti, i disastri che quotidianamente si vedono sulle pagine web, anche di persone serie. Per farla breve, le molte frasette fatte, da cioccolatino o da citazione sul web (di solito attribuite ad Einstein, o a un certo Cit. che non ho ancora capito chi sia davvero) semplicemente non funzionano e si traducono in drammatici autogoal.
Veniamo al punto. C’è un meccanismo a cui non scappa nessuno: è quel gioco di endorfine, causate da una soddisfazione immediata di uno stimolo doloroso o di un bisogno, che ci dopano senza neanche passare dal via.
Possiamo, e dobbiamo, però renderci consapevoli di questo meccanismo, in modo da farci da soli lo sgambetto ed evitare di cascarci dentro con tutte le scarpe.
L’ho visto in azione su di me (posata signora di mezza età, mica adolescente brufolo-ormone-dipendente) qualche giorno fa quando, nell’arco di poche ore, mi sono trovata di fronte all’evidenza della molesta esistenza dei zozzoni. Proprio nel mio beato circondario (che continuo ad adorare, nonostante tutto).
Da una parte qualche amante della differenziata ha pensato bene di farmi dono delle macerie di casa sua, scaricandole, anzi posizionandole ordinatamente dentro il mio giardino. Avrà pensato che casa mia pare la fabbrica di San Pietro e quindi maceria più, maceria meno, avrebbe fatto davvero poca differenza. Solo che ha fatto le cose a metà e il risultato è che pare che da casa mia le macerie siano arrivate in area pubblica. Un disastro!
Contemporaneamente, mi si informava della presenza di un cospicuo numero di deiezioni animali su una striscia di erba adiacente la parete esterna della mia casa (vedi alla voce “merde di cane sull’aiuola”). Peccato che la suddetta striscia non sia di mia proprietà. Il risultato è che per entrambe le bravate provvederò io a rimediare (per la parte animale ho già investito i cinque minuti che i miei cinque compaesani non avevano, nemmeno mettendosi tutti insieme).
Bene, devo ammettere che ho avuto un immediato prurito alle mani, e per un attimo pure io ho pensato di buttarmi su qualche pagina Fb per alzare alti i miei laiti, e far sapere con pungente ironia ai suddetti zozzoni che li ho sgamati, che si vergognino e non so che altro.
Poi però ho contato fino a 10, ho pensato all’effetto che avrebbe fatto e ho deciso che sarebbe stato un punto a favore di quanti vedono in me una zitella sempre più acida. E allora ho deciso che questa soddisfazione non la darò a nessuno.
Finché posso guidare io, scelgo di andare in altra direzione.
Non mi va di mischiarmi alla folla dei frustrati del web, versione “down” dei leoni da tastiera. Da sempre, avere un mezzo come la scrittura, è per me la possibilità di mediare, di decantare, di interporre tempo tra la reazione chimica e la mia risposta palese. Benedico ogni volta che posso lavorare da sola in una stanza: io alle mail parlo a viva voce, rispondo parlando come si meritano certi messaggi, e poi approfitto della chance impagabile di meditare sulla risposta (opportunità che solo lo scrivere ci riserva, e siamo degli ingrati spreconi se non ne facciamo tesoro) e scrivo qualcosa di più pacato, o magari di più pesante, ma tendenzialmente più misurato, cercando pure di prevedere le conseguenze delle mie uscite. Ovvio che non ci si riesca sempre, ma lo sforzo di solito paga.
Risultato: su web non esiste traccia delle mie lamentazioni a tema m. di cane (che non sarebbe proprio un argomento che vorrei legare al mio nome. Potrebbe uscire da qualche ricerca su Google, e non ne sarei particolarmente orgogliosa) e, anzi, ne ho approfittato per rinfrescare la mia vena da #soggurapureio, riciclando il tema a mio favore.
Siccome il nervoso rende attivi, ho anche approfittato dell’overproduzione di energia per completare le operazioni di preparazione del mio ormai mitico liquore all’erba Luigia, e quindi ora la mia cucina sembra una distilleria clandestina. Alla fine, posso dire, quasi fuor di metafora, che anche stavolta dal letame sono nati fiori.
P.S.: Per fare le cose seriamente, ho segnalato alla Polizia Locale la presenza di calcinacci non miei, vincendo così il premio di dovermene occupare personalmente. Non me ne vogliano, ma sta piovendo e non lo farò oggi.