Bisogna mettercele, ogni tanto, le mani in pasta. Intendo proprio sporcarsele, affondarle nella materia, per conoscerla davvero. A pensarci bene, a molti di noi accade di rado, le dita solo sulle tastiere di computer e simili oggetti freddi, distaccati, che storpiano la realtà facendola apparire asettica. Invece il mondo, noi, le relazioni, sono fatti di materia (a dire il vero sarebbe energia, ma il discorso diventerebbe un tantino complesso), e le nostre mani hanno bisogno di re-imparare a manipolarla.
E così, quale modo migliore di incontrare un’azienda artigiana, che proprio delle mani in pasta fa il suo valore fondante, se non lavorando con le mani l‘impasto del panettone? Un’amalgama profumata, morbida senza essere appiccicosa, che si tocca con una certa timidezza iniziale, fino a che non si sente che è lì per accoglierci.
Proprio con il motto di “mani in pasta” ci riceve Andrea Filippi, pasticcere nato nella tradizione artigiana, diventato manager esperto di GDO per tornare all’arte pasticcera, trasformando l’attività di famiglia in una realtà di assoluto pregio.
Qual è la sua ricetta? La ricerca dell’unicità, ovviamente.
Dico “ovviamente” perché non può essere diversamente, non perché sia facile. Negli anni in cui la GDO si è mangiata tutta la piccola produzione locale “no logo”, Filippi ha affermato e portato avanti con determinazione visionaria un solo principio, come un mantra: cercare un prodotto naturale. Come Ulisse, nella navigazione turbolenta dei mercati in veloce trasformazione, ha ben saputo resistere alle sirene e alle scorciatoie che lo avrebbero portato fuori rotta dal suo obiettivo, e oggi nei suoi panettoni ci stanno zero aromi e percentuali anche doppie di ingredienti rispetto i minimi fissati dal disciplinare (fino al 29% di frutta – includendo la pasta d’arancio che sostituisce gli aromi – e il 9.8% di tuorlo) e un’etichetta cortissima, come si dice in gergo.
Pochi ma buoni, gli ingredienti: miele, burro fresco, una farina forte, uova di galline allevate a terra sin da quando questa non era una moda, bacca di vaniglia (pregiatissima e costosissima, non vi si può rinunciare, neanche quando viene quotata dieci volte tanto rispetto le alternative), cioccolato 55% dalla Costa d’Avorio, canditi e, ovviamente, il lievito naturale, quel quid di totale unicità, perché è vivo, strettamente legato a chi lo fa e a dove lo si fa lavorare. Come ogni essere vivente, il lievito ha un suo carattere e per questo è più difficile da gestire, richiede sacrifici (come alzarsi alle 4 di mattina – o di notte – per controllare come sta procedendo) ma poi restituisce soddisfazioni e un valore inestimabile.
Gli ingredienti sono strettamente legati a fornitori di fiducia che, una volta incontrati, non si lasciano più, come si fa con la squadra che vince. Per Andrea Filippi, se lascia parlare il manager che è in lui, la standardizzazione è virtuosa perché riduce le varianti e crea quella stabilità necessaria ad avere sicurezza e tranquillità. Ma senza compromessi, fedele al suo credo iniziale, ai limiti dell’integralismo. Ogni novità, variante o tecnologia è la benvenuta fino a che non alteri la naturalità del prodotto. Una macchina può facilitare una lavorazione? Benissimo! Se però richiede, ad esempio, di modificare il tipo o la quantità di farina, allora no, grazie, si resta gli artigiani della prima ora e si continua a lavorare con le mani. Tra le 30 ricette in produzione, non figura, ad esempio, nessun panettone con farcitura, perché questa richiederebbe, senza scampo, l’uso di conservanti.
Dopo le presentazioni, e spiegazioni che ci avrebbero incantato per ore, siamo passati ai fatti, e alla pasta da “pirlare”. Per chi non è avvezzo a termini e attività di questo tipo, forse è utile dire che la pasta, che a noi visitatori è arrivata già preparata precedentemente (ma con il cronometro in mano, perché la si lavora quando vuole lei), non si posiziona semplicemente nello stampo, per passarla al forno.
Ogni fase di lavorazione ha delle specifiche che, a prima vista, paiono quasi dei vezzi, e invece nascondono segreti che determinano il destino dell’impasto stesso. Ecco dunque che la pasta va rivoltata su se stessa con delicatezza, svolgendo un movimento delle due mani che, vedendo quelle esperte, si compone come in una danza orientale, con ritmo e delicatezza che si direbbero rispondere più ad esigenze estetiche che pratiche. E qui si scopre che questa gestualità non è banale, e a noi profani riesce solo a metà.
Passando all’assaggio, non era suggestione quella che ha inebriato i nostri sensi: la squisitezza, la leggerezza dell’impasto, l’equilibrio dei sapori hanno subito decretato la superiorità del panettone Filippi: anche lo zenzero, per me sapore temibile, caramellato in modo magistrale era una carezza che si mischiava con garbo al cioccolato. Certo, conoscere la storia, e qualche segreto, di quello che si degusta, fa la differenza proprio perché permette di accendere tutti i sensi, più la fantasia che, si sa, fa la parte del leone in ogni genere di seduzione.
NOTA 1: ho partecipato ad un press tour organizzato da Studio Cru che ci ha portato a fare un’esperienza in Pasticceria Filippi (Via Monte Pasubio 96/A, Zanè – Vicenza).
NOTA 2: Quest’anno la Pasticceria Filippi presenta una nuova linea di Panettoni Speziati: Mela e Cannella, Cioccolato e Zenzero, Granspeziale (uva passa, zenzero candito,anice stellato, pepe e cannella).
NOTA 3: Tra un po’ arriverà a casa il “mio” panettone, lievitato e cotto in Pasticceria Filippi. Lo si attende già con trepidazione.