Il direttore
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Ho conosciuto Matteo Valbusa come docente ad un corso di formazione per direttori di coro (io stavo pigiata in mezzo al coro, di fatto ero la materia prima per l’esercitazione). Naturalmente lui è molto più che un direttore di coro, ma qui la facciamo semplice.
Per me il direttore – di coro o orchestra – resta l’espressione più vera del significato di leadership, che significa affascinare al punto da convincere un gruppo di persone a dare il meglio di sé per sostenere la tua idea, fino ad attuarla. Ne ho già scritto qui.
Valbusa mette le mani avanti e sottolinea le differenze abissali tra la sua attività normale, nella quale mette a frutto le tecniche di persuasione della retorica, le neuroscienze e la psicologia di gruppo, e una situazione di emergenza come l’attuale, che non si era vissuta mai. Un contesto di altissima complessità, governato da gravità oggettiva, paura, poca consapevolezza dei rischi, incertezza su diversi fronti.
Pallido il parallelo con il caso in cui il direttore lavora in urgenza, dovendo gestire in poco tempo le dinamiche interpersonali degli artisti.
Ma io insisto, voglio sapere cosa possiamo imparare da quanto stiamo vivendo e osservando.
Sarà la mia voglia di economia circolare, nel senso di poter riusare ciò che si ha a disposizione, fossero anche esempi poco eclatanti. L’idea di trarne comunque un insegnamento mi consola e mi dà energia, come un imparare da errori tuoi o altrui, non fa differenza.
Ed ecco il primo parallelo, che capirà meglio chi fa musica d’insieme o sport di squadra. Il modo forte è meno efficace del convincimento. Il modo forte piace a chi sta già dalla tua parte, mentre polarizza chi ti è, e resta, contrario.
Un modo alternativo è invece mostrare (ovvero avere, e dimostrare) fiducia nelle persone, chiamandole a rispondere ad un invito.
Sì, ma parliamo di musica e di leadership!
Quali sono le pietre miliari? Le parole che escono, qui in ordine sparso, sono: energia, esempio, autoironia, incoraggiamento, assertività, rispetto, spirito di servizio, fiducia, conoscenza di sé, visione, generosità. Ne scelgo alcune.
Energia.
Essere a capo (non “il” capo) di un gruppo implica trascinare con entusiasmo, infondendo energia fino a rendere la cosa circolare, anche di ritorno al direttore. Un gruppo con livello basso di energia sarà un gruppo con scarsa performance. Ne serve tanta, ad esempio per contrastare la routine e fare di ogni esecuzione un unicum, pieno di significato.
Spostiamoci un attimo dall’esempio, che potrebbe essere la centesima esecuzione di una pagina nota e consunta (ma non per questo di minor valore), e pensiamo ad un episodio di vita personale, o aziendale, che ne so, il primo o il centesimo invito a cena, la prima o la centesima riunione. Fatto? Voilà. Non credo servano spiegazioni.
Visione.
Avere una visione dà energia, e segna la strada da percorrere insieme, passo dopo passo. La visione del leader diventa percettibile da tutti, e diventa obiettivo comune, condiviso, partecipato.
Convince mostrando la bellezza del progetto, svelandola poco a poco, come si farebbe con un tesoro prezioso. È per primo conquistato da tanta bellezza, e con questa passione attrae a sé il gruppo, in un legame di fiducia reciproca.
Spirito di servizio.
Il capo opera per il gruppo. Il suo parlare, il trattare le persone, viene addolcito da questo atteggiamento mentale, se è sincero e non strategico. È così che le scelte sono fatte affinché ciascuno sia messo nelle condizioni di dare il meglio di sé. Il direttore lavora per far diventare bravi tutti, ciascuno con le proprie potenzialità. Citando un suo maestro, Valbusa concentra questo dicendo che il direttore non è una stella, ma “si contorna di stelle, che faranno brillare il cielo”.
Ora che siamo tornati a riveder le stelle, proseguiamo con la seconda intervista.