Bello era e di gentile aspetto. Davvero galante, nel suo frak, elegante nei movimenti. Sul palco una delizia per gli occhi e per gli orecchi. Era il primo violino dei Berliner. Una specie di mito, talmente lontano da essere persino poco attraente, per una con i piedi per terra.
Poi, con un Coup de théâtre, le cose si ribaltano. Dall’uscita sul retro, quella degli artisti, obbligatoria ad una certa ora, si torna tutti uguali. Niente luci, niente frak, i violini nelle grigie custodie. Tutti in braghe corte e maglietta. Io più degli altri, dato che venivo da un pomeriggio da zia, iniziato con tour per recuperare le nipotine, stranamente affidate alla sorella evidentemente-poco-rassicurante, visita alle caprette della fattoria, con raccolta delle ciliegie (solo quelle cadute per terra!), esplorazione del nascondiglio dei gattini, tour della latteria e acquisto di latte crudo, da bollire. Un climax di emozioni, terminato solo con il rientro a casa delle entusiaste bambine. Felici almeno quanto la zia.
Poi d’improvviso, la decisione su due piedi di andare al concerto, per non saper che altro fare. Una telefonata all’amica di sempre, ready in five, eppure raggiante nel suo look passepartout. Concerto che termina con offerta di accompagnare gli artisti, abbandonati a se stessi e affamati dopo la performance, ad un ristorante dove mangiare qualcosa di buono: come minimo pasta e pesce, per far loro sentire di essere in Italia.
A quel punto, SOLO a quel punto, vedo (con gli occhi della mente) la zozzura che ricopre la mia auto.
A furia di rimandare il lavaggio, per pigrizia pure di aspettare il turno, me ne sono andata a concerto a bordo di una specie di zucca, prima di una magia che non sarebbe mai arrivata. Pazienza, mi devono solo seguire. I fari si vedono ancora. Poi, un fatto inedito. Lui, proprio il primo violino che sul palco sembrava proprio bello, e di persona ERA proprio bello, si catapulta verso la mia auto. Con breve summit con la mia amica, a suon di sguardi inequivocabili, il responso è: “Ma quando mai uno così ti si caccia in macchina, di sua spontanea volontà?”.
Poi si ritorna alla realtà, per la precisione nel momento in cui si carica il bagaglio del Berliner nel mio bagagliaio.
Che saluta l’ospite con i carichi di piastrelle… proprio quelle del bagno, in attesa di un deposito che avverrà in un qualche momento indefinito del futuro. Beh, piastrelline mica male, quelle a mosaico, almeno, ma come glielo spiego?
Con forte cigolìo si apre la portiera (già, il Bello entra dalla porta che cigola, altro “pezzo di bravura”). Maledizione, faccio la figura da italiana da film anni ’60, alla Alberto Sordi, al mare con i panzerotti fritti. Tutto questo sparisce però, subito dopo, in un attimo. Già, quando si dice che è tutto relativo … mi torna in mente il torcinaso dei cavalli: una cosa atroce da vedere, che serve a distogliere l’attenzione del povero equino con un male più forte, finché gli si somministra altro, tipo un’infiltrazione al ginocchio, che in confronto è un ballo in maschera.
Mentre il violinista cade sul sedile, io con gesto calcolatissimo, tolgo il sacchettino … con il formaggio di capra, che stava lì dal pomeriggio. Ci mancava solo quello. Spero che il Berliner fosse stanco abbastanza per non calcolare proprio tutto, che il sacchetto faccia la sua parte come isolante (esiste una puzza più riconoscibile del formaggio, e di capra, per giunta?). Ho però il forte sospetto che abbia qualcosa da raccontare agli amici… a proposito di stereotipi.
Il giorno dopo ho lavato la macchina, dentro e fuori. Però mi veniva da canticchiare “Quando Pier s’accorse che manca la cavalla, chiuse ben la stalla e se ne andò. Oibò!”.