Tabata e Federica

Annabaldo

Cominciamo con le presentazioni: Tabata è un personaggio della Tv, molto popolare, che va a risollevare le sorti di saloni di parrucchiere, di solito nella profonda provincia americana, dando una lustrata al marketing, preferibilmente a suon di insulti per gestori e dipendenti. Federica è una mia cara amica, un vero “error detector” in fatto di customer service. Tabata locale, sarebbe in grado di rivoltare come un calzino il servizio discutibile di più di qualche esercizio, se solo glielo lasciassero fare. Un vero talento, ancora sottostimato. Con lei, oggi, ho condiviso in direttissima, via sms, una piccola disavventura. Fossi stata un “cliente misterioso” in azione, sarebbe la fine per il negozio, e per la cassiera, anche se presumibilmente, si trattava della proprietaria.

Ma andiamo per ordine, descrivendo i dettagli. Immaginate un negozio di abbigliamento, uno store multimarca. Ore 12,15. Entro e chiedo a che ora chiude il negozio. Sguardo di traverso della signora in cassa, issata come su un trono, che mi dice “alle 12.30”. “Allora do un’occhiata veloce”, cerco di rassicurarla io, dimenticando che sono pur sempre una potenziale cliente, e invece mi comporto come una scocciatrice, consapevole e soggiogata dal senso di colpa. Passo rapidamente in rassegna qualche capo, sbirciando gli sconti e facendo conti approssimativi di quanto verrebbero a costare con i saldi. Non ho un obiettivo preciso, e quindi bighellono tra le relle, senza meta. Passano dieci minuti. A quel punto trovo una cosa che dovevo assolutamente provare. Se una maglietta si guarda in controluce e si decide a occhio che calza, con un pantalone (almeno nel mio caso) si deve assolutamente usare il metodo empirico.
Passa una rara commessa, che fa di tutto fuorchè guardarmi, nel caso avessi richieste da fare. Le chiedo se faccio in tempo a provarmi il pantalone e questa, manco fosse la mamma che ti butta fuori dal letto sennò perdi lo scuolabus, mi fa, dritta: “beh, veloce”.

Forse che Federica e Tabata avrebbero qualcosa da dire? Credo di sì, ma non siamo ancora al clou.

Destino (e dolcetti vari) vuole che non mi stiano bene, i pantaloni, ma prendo un altro capo, un vestitino provato al volo. Ore 12,30 sono in cassa, sotto lo sguardo traboccante di disprezzo della signora di prima, che neanche vedendo l’acquisto fatto recupera un po’ di buon umore.
Prima di me c’è solo un’altra cliente, con una montagna di cose. Fare il conto e le confezioni di tutto richiederà un po’. Che faccio io, sto lì impalata? No, approfitto per ripassare uno scaffale che prima non avevo notato, proprio davanti alla cassa. Avrei avuto anche una domanda da fare, per sapere il prezzo di una gonna che, fosse stata in sconto, avrei preso anche col beneficio del dubbio, ma non osavo interpellare le fredde addette alle vendite (parevano più dei buttafuori da locale di gioco d’azzardo, a dirla tutta).

Che succede intanto? Si materializza un’altra cliente, sbucata non so da dove. Una ultracinquantenne in hot pants di jeans, smalto sulle unghie dei piedi tutto rovinato (immagine assoluta di tristezza), pareva denutrita ma esponeva un décolleté da adolescente in carne, naturalmente in micromaglietta bianca scollatissima. Una di quelle immagini che fanno molto film country USA, bellezza nativa e trasandata, tra roulotte nel deserto, saloon, toro meccanico e moto gigantesche, anni ’80. Solo che mancava un po’ di contorno.

Bene, questa dea del sobborgo contemporaneo mette sul bancone qualcosa come venti – dico venti – magliette, una più improbabile dell’altra. Io, con il mio unico capo in mano, che mi ero allontanata di qualche metro, mi rifaccio avanti. La biondona non mi aveva vista prima, quindi era legittimata a pensare che toccasse a lei. Ma la commessa, guardandomi peggio che all’inizio, ostentatamente ha iniziato a passare maglietta per maglietta le venti della signora.
E qui, ho sentito tutta la potenza del controllo sociale: non avrei per nulla al mondo fatto la parte del “c’ero prima io”, che avrebbe sancito il mio ingresso trionfale e a senso unico nella zitellaggine di mezz’età. Non senza l’alleanza dell’omertosa cassiera!

Si vede che ero troppo normale per starle simpatica, mi viene da pensare. La bionda cow- girl non mostrava segno di fretta, pareva anzi godere nel far attendere una che porta quattro – forse cinque – taglie in più di lei (ed è felicissima così, se quello è il prezzo da pagare). Alla fine ha pure ripassato lo scontrino, capo per capo, perché non le tornavano i conti su quanto aveva previsto di spendere, tenendo impegnata cassa e cassiera per altro tempo.

Non so se a Federica fischiasse un qualche orecchio, in quei momenti, perché il mio pensiero non riusciva a staccarsi dall’immagine di lei, in quel contesto. Comunque, sempre seguendo la mia linea di battaglia ispirata alla resistenza passiva, condita di silenziosi improperi e di convinzione che una così la vita la stava già punendo per quello che è, sono eroicamente arrivata a pagare il conto e ad uscirmene viva dal negozio, forte di un’ironia, pur intermittente, che mi stava salvando. Solo che all’”arrivederci” forzato dell’intronata (nel senso letterale, perché stava in trono, sulla cassa rialzata) non ho saputo rispondere che con un “buon giorno”.