Unire i puntini (o i chicchi di caffè?)

Annabaldo

Sono quasi allergica ai cruciverba. Al massimo ho tentato quelli facilissimi, che i bravi schifano perché poco impegnativi. Nella Settimana Enigmistica, e prima ancora nelle ultime pagine dei periodici che giravano in casa, quello che era assolutamente mio (mia sorella “grande” faceva le parole crociate e tutte le cose serie) era il riquadro dove si dovevano unire i puntini per far uscire una figura. Anni dopo, arriva Steve Jobs con il famoso discorso alla Stanford University (12/06/2005)

E ancora è un “unire i puntini”. Curioso, mi piace. Sta’ a vedere che, senza saperlo, io e Steve pensavamo da trent’anni la stessa cosa, solo che lui sapeva di sapere e l’ha detta, e se la dice lui diventa “cool”. Capita. Son felice che siamo d’accordo su questo punto, almeno.

Bene, accade che nelle ultime settimane, che una dopo l’altra sono diventate mesi, ho iniziato il “Machemoka Live”, dirette dalla pagina FB “Dire e Fare Comunicazione. Ha senso? Certo, e molto anche. Durante il percorso, pensando agli ospiti da invitare, mi sono trovata a riflettere su questo progetto che, ammetto, non è nato come progetto, ma come una ricerca di senso di qualcosa che all’inizio non avevo capito quale direzione avrebbe potuto prendere. Riflettere in corso d’opera mi pare un esercizio interessante, che se poi alla fine tutto torna, vuol dire che questa cosa era proprio mia o, per scomodare i guru, rappresenta un po’ il mio come e il mio perché. Sorprendentemente, ma neanche tanto, mi sono dunque trovata a capire che Machemoka ha ragione d’essere, proprio perché unisce molti miei puntini.

Quando è iniziato – metto su la moka

Mi piacerebbe poter essere più creativa, ma la realtà è che tutto è iniziato durante il lockdown 2020, come innumerevoli altre cose che prima non esistevano e di cui oggi siamo oberati. Ora che la linea del tempo pare spezzata da un a.C-19 (avanti COVID-19) e d.C-19, anche io mi trovo con l’idea nata durante la prima chiusura. Io l’ho vissuta in modo claustrale, essendo lavoratrice da casa (se fare il freelance e occuparsi di comunicazione si può definire lavoro) da molto prima che si chiamasse, orrendamente, smart work.

Foto di Fabio Lorenzato
Foto di Lorenz – Fabio Lorenzato

All’inizio avevo tutta l’energia di chi era già navigato e poteva godere di una situazione relativamente invidiabile (giardino, niente figli urlanti e scalpitanti in DAD, cagnolina del buonumore con me, internet che va bene e tempo per telefonate illimitate); per questo ho sentito che fosse giusto fare da traino, per tenere alto l’umore di chi avevo a portata di mano, ovvero di chat. Ho lanciato così #machemoka, un appuntamento di caffè virtuale insieme. Si faceva a suon di foto su Facebook, di moke sul fuoco, di tazzine e location, dato che la primavera si presta a versioni bucoliche di momenti di relax all’aria aperta. Ci si salutava così, ogni giorno dopo pranzo.

Come lo chiamiamo? – la moka inizia a borbottare

Spazio ricordi, anche se annebbiati. Proprio sul nome, direi che deve essere uscito da una vera sessione creativa, a suon di risate e stupidaggini (si chiama brainstorming ma ti senti scemo e ti diverti un sacco) con i soliti compagni di merende, che si riconosceranno anche senza nominarli. Una parola tira l’altra, come le ciliegie, un suono, un ritmo. Ricordo per ricordo, va detto che per me il borbottare della moka e il profumo di caffè che si spande nell’aria sono il richiamo insuperato di memorie legate alla casa dei nonni (cui devo l’eredità genetica di “caffettona”), dei sabato notte in cui si dormiva là, in solitaria, e la mattina il nonno veniva viziato con il caffè a letto. Da questo, potrei pensare addirittura ad un caffettometro, nuovo indice di affinità: se non ti sopporto non ci sarà mai davvero un caffè tra di noi; se, al contrario, ti adoro, sopporterò anche il fatto che tu non beva caffè. 
Quindi il caffè è proprio cosa mia, mi scorre nelle vene e non mi dà nemmeno i classici effetti collaterali avversi, tipo togliere il sonno. Citazione colta e al passo con i tempi, nell’anno di Dante 700 (1321-2021): il primo caffè preso palesemente, senza dover fare sotterfugi, in cucina e assieme mia mamma è stato un pomeriggio in cui studiavo Dante, in seconda superiore (e sì, un aiutino a tener su la testa mi serviva proprio): un vero rito di iniziazione alla vita adulta, con i suoi piaceri e le sue scappatelle innocenti.

Adiamo “Live” – verso il caffè, ma non ho abbastanza tazzine!

Il perché e il percome del Machemoka Live sta nei post di Facebook. Qui lo riassumo: se non me lo avesse chiesto un’amica non sarei mai andata online con video interviste, resistendo ai trend imperanti proprio in quanto trend. Oltre ad essere una caffettona sono anche una gran Bastiancontrario, e il fatto stesso che tutti facciano una cosa mi pare un ottimo motivo per non accodarmi. Lo so, è snob, ma tant’è.
Allo stesso modo ho sviluppato un’intolleranza ai guru, che in rete spopolano (giustamente, funziona così), e quindi il mio Machemoka è, e deve essere, anti-guru. Ovvero, deve far scoprire il valore vero di moltissimi professionisti che non si pongono come divi del web e che, proprio per questo, restano meno noti. Unire i puntini: nella mia vita lavorativa e non solo ho incontrato moltissime persone, e moltissimi che ammiro. Ora metto a sistema questa cosa, con il piacere di presentare i miei “amici” (le virgolette stanno per la coincidenza con il lessico dei social) ad altri amici. Ancora per molte puntate posso attingere a conoscenze di primo grado, se poi mi spingo fino al sesto, rischio sul serio di arrivare ad Obama (dal quale, ad onor di cronaca, mi separano solo due passaggi. Wow!).

Ospiti di Machemoka

Sedente, caliente, per niente – Pensieri che nascono mescolando lo zucchero

Anche questa è una citazione della nonna, capostipite dei caffettoni. Le memorie legate al caffè si presentano in ordine sparso. Uno dei primi lavori che ho fatto, nel secolo scorso, era in un ufficio che stava proprio dietro un’azienda di caffè, e il primo giorno di lavoro ho scambiato l’odore della tostatura per un possibile guasto all’impianto elettrico: all’improvviso, ad una certa ora, si avverte un forte odore di bruciato, credo a carico delle cere, che se stai in una stanza piena di pc ti viene da temere che stia andando a fuoco tutta la centralina. Poi qualche anima pia si è presa la briga di avvisarmi, e allora l’odore (a quel punto “profumo”) è diventato familiare, riconoscibile e persino piacevole.
Nella stessa azienda ho stretto amicizie – professionali e non solo – proprio nelle pause (per la verità non esattamente brevissime) alla macchinetta del caffè. Una bevanda inqualificabile, naturalmente, che però permetteva quel “networking” inconsapevole di cui al tempo nessuno di noi si curava. Forse è per questo che quei legami erano veri, e sono durati nel tempo.

Come ti piace il caffè?

“Un caffè non è mai solo un caffè” – sto diventando odiosa e addirittura mi autocito, perché con questo ho esordito al primo Machemoka. Lapalisse, scansati. Il caffè è un invito, è un messaggio e a volte pure un miraggio (“dobbiamo prenderci un caffè uno di questi giorni” equivale a “è educato dire così ma sappiamo tutti e due che questo evento non si verificherà mai”). Se però il caffè arriva, è il momento di belle chiacchiere, di sano ozio creativo. Ecco cosa vuol essere il Machemoka live, una sbirciata a qualcosa di interessante, senza perdere la leggerezza di una pausa.
Come l’appetito vien mangiando, così il calendario di Machemoka live si è allungato, arrivando alla fine di una stagione zero e alla voglia di ri-debuttare tra qualche mese. In forma nuova? Non so, spero di sì.

Buon caffè a tutti!

NOTA 1: Consigli di lettura. Un romanzo che ho amato, passando il libro a moltissimi, tanto che ora non so più dove sta, è “Caffè amaro”, di Simonetta Agnello Hornby.

NOTA 2: Lapalisse – Jacques II de Chabannes de La Palice – non fu per niente uno che diceva cose ovvie. Ho cercato su Wikipedia la sua scheda, scoprendo un personaggio incredibile, persino difficile da riassumere.

NOTA 3: Grazie ai primi ospiti di Machemoka (nella foto in ordine sparso).
Michela Martini, Anna Pietribiasi, Anna Casasola, Bianca Simone, Chiara Albertin, Marta Dalle Carbonare, Daniela Padovan, Roberta Zarpellon, Francesca Gasperi, Matteo Pretto.

NOTA 4: La foto di copertina è di Bruno /Germany da Pixabay