L’orrida soffitta – il lavoro da casa, senza veli

Annabaldo

Torno sul tema del lavoro da casa, una modalità classica per il piccolo freelance che ora sta investendo gli impiegati e i manager di ogni settore, fino al pubblico.
La cosa, per la verità, mi pare un’evoluzione verso un modo ergonomico di vivere il lavoro, ma naturalmente dovrà trovare il suo equilibrio, che oggi ancora non c’è.

A scanso di equivoci – e non per dare dei sempliciotti a chi legge – forse è meglio che specifichi come la penso: buttarsi a lavorare da casa in emergenza non può essere in alcun modo il modo migliore per iniziare, è stato traumatico, proprio come imparare a nuotare venendo scaraventati nell’acqua alta.
Non è stato il mio caso, ma sono dotata di qualcosa che mi permette di comprendere situazioni anche senza averle vissute in prima persona.

Di emergenza si tratta, e come tale dovrà rientrare.

La situazione di lockdown ha portato con sé una serie di complicazioni che nessuno desidera, e che non sono sostenibili nel tempo. Di emergenza si tratta, e come ogni emergenza dovrà rientrare, lasciando spazio ad una nuova normalità, più facilmente gestibile.
Per intenderci: non c’è nulla di “smart” nell’affollarsi in tre – genitore che lavora e figli che fanno scuola – su due computer, nulla di desiderabile nello stare in chat tenendo nello sgabuzzino i figli che non ne possono più e cercano un conforto, travestito da aiuto, negli unici adulti disponibili, ovvero mamme e papà, che starebbero lavorando. Sembra una banalità, e dovrebbe esserlo, ma invece mi son trovata a discuterne più volte, a partire dai suggerimenti per una fase 2 in cui aprono gli uffici e restano chiuse le scuole, e in cui lavorare da casa diventa la soluzione, perché “intanto guardi anche i bambini”.

Non tutto il male vien per nuocere! (neanche stavolta)

Mi consola pensare che non tutto il male vien per nuocere. Si fa tanto parlare di “risorsa umana” nel lavoro, nelle aziende. Però queste risorse devono avere davvero poco di umano, ovvero di esigenze “altre” rispetto il lavoro, di caratteristiche personali, e così via. Tutti in azienda, dimentichi della loro vita a casa, della loro soggettività (vedi alla voce “dress code”, che può essere esplicito, nei migliori dei casi, oppure no), del bisogno di sapere quando puoi considerarti libero dal lavoro. Perché sì, proprio in virtù del fatto che lavoriamo con dedizione e passione, ci piace anche smettere, tornare a casa, andare a correre o a cantare, trovarsi con le amiche a “ciacolare” e basta, giocare con i nostri figli o con l’amorazzo di passaggio (ad ogni età). Qualcosa non va? Volevate una risorsa umana o una macchina, al massimo un’intelligenza artificiale?

Cos’ha dunque avuto di “buono”* questo lockdown? Che ci ha costretti a mostrare la nostra umanità. Proprio nel senso letterale. Le video conferenze di lavoro, ma anche le video chiamate, il surrogato più simile ad un contatto di persona, hanno rivelato le immagini del nostro vivere quotidiano. Molto più dei selfie sui social, che sono comunque costruiti, per quanto in modo maldestro. E hanno fatto diventare questa realtà molto più accettabile. Se siamo stati accorti, abbiamo studiato un po’ gli sfondi da cui trasmettere, anche solo spostando di un metro il mucchio delle cose da stirare; in ogni caso siamo stati costretti a far entrare in casa le persone dell’azienda (capi, colleghi, clienti), superando il pudore di una presunta inadeguatezza di un ambiente domestico come luogo di produzione professionale.

le “sciure”, uffa!

Qualche anno fa, in contesto di assoluta omologazione e aspettative standardizzate, mi era capitata una cosa che certo ora non avrebbe più ragione d’essere. Mi ha tanto colpita che ancora mi viene da citarla.
Dunque, la cliente era una “sciura” di buona società e in quanto tale rientrava nei canoni condivisi di prestigio. Per intenderci, la classica snob upper class, vacanza in barca (che lei con sufficienza catalogava con un “ma che ci vuole, fai una borsa con due cosucce e parti”), borse firmatissime (ma standard, ovvie, direi), meches d’ordinanza e tutto il resto. Per lei, e per la sua azienda, io curavo la comunicazione e le PR. Come dire, rendo visibile ciò che sei, nella versione migliore possibile. Era molto soddisfatta di creatività e realizzazioni che arrivavano da me, in termini di immagine, di eventi e altre idee.

per una volta, niente esprit de l’escalier

Un giorno, in una chiamata urgentissima, dopo che “le avevo salvato la vita” (sue parole testuali) liberandola dalle soluzioni di un’altra sciura come lei, solo che aveva un’agenzia di comunicazione, mi viene da scegliere la modalità video. E lei vedendo che mi trovavo in mansarda, in quella stanza che usavo come ufficio, ha esclamato, in preda ad un’insolita ilarità: “Oddio, l’orrida soffitta!”. Al che, per una volta esente dall’esprit de l’escalier, stavolta la risposta mi è venuta pronta: “Da quest’orrida soffitta arrivano le cose belle che ti stanno salvando la vita!”

I luoghi del lavoro possono avere mille volti, quanti sono quelli dei lavoratori e delle loro case. Spero che ora non si sentirà più la necessità di ribadirlo. Che siano passate le epoche degli open space e dei divisori trasparenti (e invece, non si parla d’altro che di divisori trasparenti, ma in altro senso).

Dovremo adeguare noi, le nostre aziende e le nostre case al lavoro da luoghi “altri”.

Da esperta del lavoro da casa, quale mi vanto di essere, forte di oltre 10 anni di pratica e di riflessione sul tema, restano validi i suggerimenti che avevo già indicato in un altro post. Per lavorare serve un ambiente dedicato, perché il multitasking non esiste e chi lo magnifica “mente sapendo di mentire”, ovvero lo considera valido solo per gli altri. Se sto lavorando, lavoro e basta perché mi concentro su quello che faccio, e il contesto ambientale gioca un ruolo fondamentale in questo.

Quindi niente lavorare o studiare a letto, sul divano, sull’amaca o chissà dove.
Create una postazione dedicata, riservate una stanza, o almeno una zona che sarà il “luogo di lavoro”, perché un luogo, come un atteggiamento, è prima di tutto mentale. Certo, se è il caso di una sessione creativa, via libera. Io ne faccio alcune in tre fasi: ufficio – pranzo – ufficio (la terza è molto più impegnativa, per questioni digestive, e quindi si può svolgere anche in una giornata diversa).

In un’ottica di alternanza tra lavoro in sede e lavoro a casa, è interessante iniziare a prevedere spazi e modi per il lavoro anche tra le mura domestiche, per riuscire a bilanciare i tempi, prima di tutto, proprio perché l’ufficio non faccia come le piante infestanti, e dilaghi negli spazi e nei tempi del resto della vita, con grande svantaggio, prima di tutto, per la qualità del lavoro!

Delle caratteristiche del lavoro in casa, o della casa da cui lavorare, che forse è più adeguato, parleremo in una prossima puntata. Intanto raccolgo i pensieri e qualche immagine.

 

NOTA 1 – *Buono non è il termine giusto. Per me il lockdown è stato deleterio, prima di tutto dal punto di vista dell’energia mentale. Ha messo a dura prova la mia capacità di scegliere pensieri funzionali, costruttivi, prima che il mio personale budget (quello è defunto proprio, ma tutto sommato è una perdita oggettiva, altra da me e quindi tollerabile).

NOTA 2 – Che differenza c’è tra mansarda e soffitta? Forse nessuna, sempre di sottotetto si tratta. Allora la differenza la fa la connotazione: soffitta sa un po’ da polvere, ragnatele e bauli dimenticati, mansarda, anche in virtù della sua derivazione francese (“Mansarda” deriva dal termine francese mansarde, a sua volta tratto dal nome dell’architetto francese François Mansart /1598-1666/ che progettò per primo questo elemento architettonico del tetto. Fonte: Wikipedia), fa subito finestra nel tetto, mobiletto con i fiori nella parte più bassa, lampade di sale posate a terra. Tutte cose che c’erano, nella mia “per nulla orrida” mansarda! Ci tenevo a specificare.

NOTA 3 – La foto della mansarda della mia prima casa, sono di Fabio Lorenzato, in arte Lorenz, che ha un occhio speciale per cogliere l’anima delle cose, e che, non secondario, è il mio compare di quelle sessioni creative in tre tempi. A proposito, quanto ci mancano?

NOTA 4 – Sullo sfondo si vede anche il mio ritratto, opera di Giovanni B. Tresso, che ha dipinto molti VIP, solo che ogni tanto si sbaglia, e così è venuto fuori anche il mio ritratto 🙂